Fallimento di una protesi articolare: la chirurgia riparativa può aiutare?

La chirurgia protesica rappresenta oggi in ortopedia e traumatologia la soluzione ideale per i processi artrosico degenerativi delle articolazioni e per i processi riparativi in caso di fratture comminute irriducibili articolari. La tecnica chirurgica e la tecnologia hanno raggiunto oggi livelli elevatissimi; in particolare, nelle articolazioni maggiori (anca, ginocchio, spalla, gomito e caviglia) consentono un approccio diffuso sia per la preparazione dei chirurghi ortopedici che per la possibilità di eseguire tali interventi in qualunque centro clinico ospedaliero anche periferico.

La preparazione media del chirurgo ortopedico si è sicuramente elevata negli ultimi anni così come la geometria protesica, i materiali a disposizione e gli strumentari sempre più raffinati e dedicati. Tuttavia, a fronte di questo, l’aumento esponenziale del numero di impianti protesici ha di pari passo incrementato il numero di complicanze in termini di fallimento meccanico, d’intolleranza e di infezioni a breve e medio termine.

Mentre a lungo termine la prevedibilità e l’ineluttabilità del fallimento dell’impianto è ben conosciuta, così come sono conosciuti i ripari attraverso la pratica del reimpianto della protesi, le complicanze a breve e medio termine rappresentano ancora oggi la sfida principale per il chirurgo ortopedico. Il fattore biologico influenza quindi il destino dell’impianto protesico in maniera determinante e rappresenta la vera incognita nella valutazione dei risultati.

La perdita di sostanza dei tessuti molli circostanti la protesi e i processi infettivi che ne conseguono pongono gravi problemi di gestione del trattamento che deve risultare adeguato per mezzi e obbiettivi e, al tempo stesso, risolutivo.

La complicanza di esposizione delle componenti protesiche articolari ha costretto a mettere a punto tecniche di chirurgia ricostruttiva “estreme” e rare, tanto da porre dubbi sulla liceità della scelta fatta. D’altro canto la gravità di determinate situazione impone e giustifica livelli di rischio non comuni nella pratica usuale. Un esempio è dato dalla “extreme surgery”: questa comprende le tecniche di recupero di protesi articolari esposte, e quindi infette, tramite l’ausilio di lembi ovvero tessuti dotati di vascolarizzazione propria, in particolare di lembi muscolari.

Ma definiamo prima il concetto di lembo.

Il lembo è una regione di tessuto che è possibile isolare dal suo sito originario e trasporlo in un’altra sede anatomica, conservando il suo normale apporto ematico: in pratica si deve rispettare il suo asse vascolare, pena la necrosi dello stesso tessuto. Lo scopo di tale procedura sta nella necessità di coprire con il lembo territori privi di mantello cutaneo con effetto simultaneo.

Si tratta di procedure chirurgiche molto antiche che ci rimandano a nomi di medici chirurghi pionieri come Gaspare Tagliacozzo (1500), John Wood (1836), Igino Tansini (1892), Swaw e Payne (1946), Mc Gregor e Jackson (1972). Pionieri che attraverso accurati studi anatomici e vascolari hanno descritto i lembi su cui si basa la moderna chirurgia ricostruttiva, successivamente approfondita dai lavori di Esser e infine di Michel Salmon. La comparsa del microscopio operatore ha poi completato la dinamica di queste tecniche chirurgiche grazie alle possibilità di effettuare anastomosi vascolari.

Sul piano pratico abbiamo a disposizione lembi cutanei semplici o compositi e lembi muscolari.

I lembi cutanei sono classificabili secondo i seguenti criteri:

Vascolarizzazione

• Lembo assiale

• Lembo connettivale

• Lembo neurocutaneo

• Lembo mio-cutaneo

Tipo di impiego

• Lembo libero

• Lembo peninsulare

• Lembo insulare

Componenti di tessuto

• Lembo fasciale

• Lembo sottocutaneo

• Lembo cutaneo

• Lembo fascio-cutaneo

I lembi muscolari rappresentano di contro una struttura anatomica più arcaica e semplice e la loro affidabilità non è tanto dovuta alla vascolarizzazione sempre abbondante, ma soprattutto alla forma anatomica e alla possibilità di rotazione e plasticità per permettono loro di adattarsi ai vari possibili utilizzi.

La classificazione più nota e pratica è quella di Mathes e Nahai:

  • Tipo Im. con un solo peduncolo vascolare.
  • Tipo IIm. con un peduncolo dominante e diversi peduncoli minori.
  • Tipo IIIm. con due peduncoli dominanti.
  • Tipo IVm. con peduncoli vascolari segmentari.
  • Tipo Vm. con un peduncolo dominante ed uno secondario segmentario.

L’esperienza maturata in molti anni di pratica di chirurgia ricostruttiva degli arti in ambito ortopedico e traumatologico ci ha abituato sia al rispetto della correttezza delle tecniche chirurgiche ortopediche abituali sia all’acquisizione di tecniche di chirurgia plastico-ricostruttiva e vascolare, nonché di microchirurgia. Il bagaglio culturale e tecnico maturato in questi ambiti ha consentito di attuare procedure limite in casi selezionati.

In pazienti con patologie sistemiche come artrite reumatoide, diabete, insufficienza epatica e/o renale, vascolopatie periferiche, ecc. l’impianto di protesi del ginocchio può presentare gravi complicazioni. L’apertura della ferita chirurgica dopo impianto di protesi di ginocchio provoca la necrosi della cute della regione anteriore dello stesso e l’esposizione dell’impianto. A questo segue regolarmente la contaminazione batterica precoce che necessita di presidi immediati per il dominio dell’infezione e il ripristino del mantello cutaneo.

I gesti necessari sono rappresentati da:

  • Asportazione dei tessuti necrotici
  • Lavaggio accurato
  • Copertura con lembo

Il fallimento di queste procedure può portare a:

  • Espianto della protesi e artrodesi del ginocchio
  • Amputazione

A questo punto nasce la necessità di procedere a salvataggio e colmare la regione anatomica e la protesi esposta mediante un lembo. Lo scopo specifico è quello di coprire il difetto tissutale e contemporaneamente sterilizzare la protesi esposta, così da evitare la contaminazione batterica.

La scelta del lembo è fondamentale. Quale lembo scegliere?

Lembo fascio-cutaneo

  • Solo in pazienti in condizioni generali buone e per perdita di sostanza con diametro inferiore a 4 cm

 

Lembo mio-cutaneo peduncolato

  • Gastrocnemio
  • Gracile

 

LEMBO MIO CUTANEO LIBERO

  • Latissimus dorsi
  • Retto addominale

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